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Chi è badante ucraina? Il caso di Milano

A Milano, ma non solo, il termine badante è spesso usato in modo dispregiativo per indicare le lavoratrici di cura e assistenza agli anziani. Si tratta di un lavoro relativamente nuovo, nei decenni passati questo compito era affidato alle donne di casa, mogli e figlie. Si era nell’epoca del “doppio lavoro” femminile, sospese tra lavoro dentro e fuori le mura di casa. Del resto fino agli anni ’90 solo le famiglie abbienti potevano permettersi di pagare lo stipendio di una lavoratrice domestica. Negli ultimi trent’anni però molto è cambiato. L’invecchiamento della popolazione, la progressiva destrutturazione della famiglia e l’emancipazione delle donne dal lavoro riproduttivo hanno stravolto nel profondo la società italiana.

A Milano, ma in generale in tutto il Paese, la scelta era dunque tra accompagnare il proprio familiare nelle famigerate Rsa o cercare delle badanti che potessero assistere i propri cari. Va da sé che quasi tutti hanno scelto la seconda opzione. Si è sviluppata in tutta Italia, da Nord a Sud e in maniera tendenzialmente trasversale alle classi sociali, un’enorme domanda di lavoro domestico che è stata colmata con l’arrivo di donne migranti. La costruzione di questo mercato del lavoro è avvenuta senza norme che potessero strutturare e regolare l’incrocio tra domanda e offerta. L’informalità è stato – e lo è tuttora – il tratto peculiare del lavoro domestico.

Il mercato del lavoro delle badanti di assistenza agli anziani è segnato, come molti altri, dalle linee della razza e del genere. Donne migranti, per lo più bianche e di religione cristiana, costituiscono l’architrave di questo settore. Per alcuni gruppi nazionali ciò ha contribuito a configurare un evidente sproporzione nella composizione di genere della popolazione presente in Italia. Le persone provenienti dall’Ucraina rappresentano il caso più macroscopico.

Sono la quinta provenienza nazionale e contano circa 235 mila persone sparse in quasi tutte le regioni, con la presenza femminile raggiunge quasi l’80% delle residenti totali. Vivono, però, una condizione di segregazione occupazionale che avviene a prescindere dal titolo di studio (il 20% ha una laurea) e dal proprio percorso lavorativo pregresso.

Spesso rimangono intrappolate in un limbo poiché anche in Italia difficilmente riescono a raggiungere i requisiti pensionistici. Ciò avviene a causa di rapporti di lavoro irregolari, saltuari e una carriera lavorativa di breve durata. Dunque, la loro condizione di vulnerabilità economica si estende anche nella fase di vita più anziana. Ciò è causato anche dall’assenza di accordi bilaterali tra gli enti di previdenza dei due paesi. Una condizione che, molto probabilmente, peggiorerà a causa della guerra.

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