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L’alcolismo e la badante a Milano

Più volte si sente dire la frase “chi non riesce a badare a sé stesso, non può badare agli altri” – ed in parte è vero; ma c’è un’altra parte, però, che viene trascurata: una badante fino a che punto può essere brava, professionale e diligente nel proprio lavoro, e allo stesso tempo cedere a vizi e difetti com’è quello dell’alcolismo?

Affidare i propri cari che di solito sono persone ultraottantenni e deboli in molti aspetti della vita, affidarli a persone altrettanto deboli e non in grado di fronteggiare le difficoltà è come affidare dei bambini ad altri bambini. È per questo che si deve intervenire subito per arginare questo fenomeno, e farlo portandolo a conoscenza. Mettersi in casa una persona alcoolista è davvero un rischio altissimo soprattutto se si ritrova ad operare con persone fragili che dipendono in tutto e per tutto da questa.

La Cassazione parte dalla premessa che il lavoratore spesso ubriaco mette a rischio la propria persona, poiché l’abuso di alcolici limita la sua capacità di comprendere e prevenire i pericoli e attenua i riflessi. Ciò determina un rischio aggiuntivo sia per sé stesso, sia per i colleghi che in gruppo prestano la propria opera. Per cui, al fine di evitare ciò, laddove non riesca a convincere il lavoratore a Cassazione un episodio isolato non può giustificare la sanzione estrema del licenziamento. È necessario che la condotta sia ripetuta o abituale perché costituisca giusta causa di licenziamento (il singolo episodio, infatti, non è di per sé inteso come violazione disciplinare). In tal senso Cassazione sez. lav. 10.09.2010, n. 19361, ha ritenuto legittimo il licenziamento per giusta causa di un lavoratore al quale era stato contestato in ben 12 occasioni lo stato di ebbrezza sul posto di lavoro.

In precedenza, per Cassazione, Sez. lav., 26/05/2001, n. 7192, nell’ambito del rapporto di lavoro subordinato, la dipendenza da alcool non è di per sé motivo sufficiente a far venire meno la fiducia del datore di lavoro, essendo necessario accertare di volta in volta la condotta del dipendente, nella concretezza dello svolgimento del rapporto, così come per ogni altro lavoratore, alla stregua degli ordinari criteri stabiliti dalla legge e dal contratto collettivo, al fine di valutare la legittimità o meno della sanzione irrogata (nella specie, la sentenza di merito, confermata dalla Cassazione, aveva ritenuto legittimo il licenziamento irrogato ad un dipendente bancario, avendo accertato che il provvedimento non era stato adottato per il fatto in sé della patologia da cui questi era affetto, ma per taluni comportamenti particolarmente gravi dello stesso dipendente che, ancorché favoriti dal suo stato psichico, avevano comportato discredito e disordine anche nei confronti della clientela).

Cassazione, Sez. lav., 13/02/1997, n. 1314 aveva affermato anche che, nel rapporto di lavoro subordinato, l’assenza dal servizio e l’inosservanza dell’obbligo di comunicazione della medesima non possono costituire giustificato motivo soggettivo di licenziamento quando sono dovute, non già a stati episodici di ubriachezza, bensì a un danno cerebrale, costituente l’esito della prolungata assunzione dell’alcol e dei suoi effetti tossici, poiché in tal caso si verificano le condizioni impeditive dell’adempimento tipiche della malattia. Nella specie, la consulenza tecnica svolta nel giudizio di merito aveva accertato che nel lavoratore si era determinato uno stato di alterazione psichica e di rallentamento dei processi cognitivi, prodromici dell’insorgenza della cosiddetta demenza alcolica.

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